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Appunti filosofici sulla vista

Percezione

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Appunti filosofici sulla vista

Appunti filosofici della prof. Luciana Morri

vista e bellezza visibile come punto di partenza per il recupero di una visione spirituale più profonda e innata


Redazione VistaConsapevole

ARISTOTELE – (Aristotele, Metafisica I [A] 2, 982-983) esalta il ruolo della vista

Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza: ne è un segno eviden­te la gioia che essi provano per le sensazioni, giacché queste, anche se si metta da parte l’utilità che ne deriva, sono amate di per sé, e più di tutte le altre è amata quella che si esercita mediante gli occhi. Infatti noi preferiamo, per così dire, la vista a tutte le altre sensazioni, non solo quando miriamo ad uno sco­po pratico, ma anche quando non intendiamo compiere alcuna azione. E il motivo sta nel fatto che questa sensazione, più di ogni altra, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta con immediatezza una molteplicità di differenze.

Platone – FEDRO [249B – 256D] vista e bellezza visibile come punto di partenza per il recupero di una visione spirituale più profonda e innata – introduce un problema chiave del rapporto tra vista e mente/anima – sul ruolo  attivo che ha la mente rispetto una semplice ricezione passiva degli stimoli…

Come si é detto, infatti, ogni anima umana, per sua natura, ha contemplato i veri esseri, altrimenti non avrebbe assunto questa forma. Ma ricordarsi di quegli esseri partendo dalla realtà terrena non é facile per nessuna delle anime […] Restano dunque poche anime che ne conservino un sufficiente ricordo; queste quando scorgono qualcosa che assomiglia a ciò che stava lassù, ne restano colpite e non sono più padrone di se stesse. Ma non capiscono ciò che provano, perchè non ne hanno una chiara percezione.

Ora, della giustizia, della temperanza e di tutte le altre virtù che sono preziose per le anime non c’é nessuna luce nelle rassomiglianze terrene, ma in pochi a fatica, avvicinandosi alle immagini di quelle virtù mediante organi imperfetti, riescono a contemplare il genere di ciò che vi é stato rappresentato.

La bellezza invece era splendida a vedersi a quel tempo, quando, con un coro felice ( noi seguendo Zeus, altri seguendo chi un dio chi un altro ), si contemplava il beato spettacolo che essa offriva alla vista e si era iniziati a quella che é lecito chiamare la più beata delle iniziazioni, che noi celebravamo in condizione di assoluta perfezione e immuni da tutti quei mali che ci attendevano successivamente. Perfette, semplici, immutabili e beate erano le visioni a cui eravamo iniziati e che contemplavamo in una luce pura, anche noi puri e senza questo sepolcro che ora portiamo in giro chiamandolo corpo, legati ad esso come ostriche. Di tutto ciò bisogna dunque ringraziare la memoria, a causa della quale, per rimpianto delle visioni di quei tempi, ci siamo ora dilungati eccessivamente. La vista infatti é il più acuto dei sensi che giungono a noi attraverso il corpo, ma non ci consente di vedere la sapienza : essa infatti susciterebbe incredibili amori se offrisse un’ immagine altrettanto chiara di sè presentandosi alla vista, e lo stesso vale per tutte le altre realtà degne d’ amore. Invece solo la bellezza ha avuto questa sorte, di essere evidentissima e amabilissima.

Platone – Teeteto (184b-186e)

SOCRATE: Su quel che si è detto, Teeteto, prendi ancora in esame questo punto: tu dicesti che sensazione è conoscenza, vero?
TEETETO: Sì .
SOCRATE: Bene. Se uno ora ti chiedesse: “Con quale organo l’uomo vede il bianco e il nero e con quale ascolta i suoni acuti e quelli gravi?”, risponderesti, penso, ” Con gli occhi e con gli orecchi”.
TEETETO: Io sì .
SOCRATE: […] Rifletti: quale delle due risposte è più corretta, dire che la cosa “con cui” vediamo sono gli occhi, o “mediante cui” vediamo, e così la cosa “con la quale” udiamo sono gli orecchi, o “attraverso la quale” noi udiamo?
TEETETO: Mi pare, Socrate, sia meglio “mediante quale” proviamo ciascuna di queste sensazioni, piuttosto che “con la quale”.

[…]

SOCRATE: Se dunque tu hai in mente qualcosa di due oggetti [uno veduto e l’altro udito], non potrai quest’idea pensarla attraverso l’uno e l’altro dei due organi e neppure attraverso l’uno e l’altro dei due organi potresti avere una sensazione intorno ai due oggetti stessi. […] Tutte queste cose comunque, riguardo questi due oggetti, attraverso quale organo le pensi? Giacché né attraverso l’udito, né attraverso la vista è possibile ottenere il possesso di quello che è comune tra essi. E c’è anche questo argomento a conferma di quel che andiamo dicendo: se fosse possibile esaminare insieme questi due oggetti, se sono salati o meno, tu sai che avresti modo di ben rispondermi con quale facoltà sottoporresti a esame la cosa: e questa non pare proprio che sia la vista, né l’udito, ma qualche altra facoltà.[…] attraverso che cosa agisce la potenzialità che ti rende chiaro quel che è in comune a tutte le cose e quel che è comune a queste in special modo, quella attraverso cui affermi questo “è” e questo “non è” e tutte le cose che su di esse ora chiediamo? Quali organi attribuirai a tutte queste condizioni attraverso cui la parte sensitiva di noi le avverta a una a una?
TEETETO: Tu dici dunque l’essere e il non essere, la somiglianza e la dissimiglianza, ciò che è identico a se stesso e ciò che è altro, e ancora l’unità e l’altra numerazione su di esse. è evidente che tu domandi anche l’eguale e il dispari e tutte le altre particolarità che fanno seguito a queste, e attraverso quale organo del corpo noi riusciamo a percepirle, con l’anima.
SOCRATE: Tu mi segui egregiamente, Teeteto. Ed è proprio questo che ti domandavo.
TEETETO: Ma, per Zeus, Socrate, non avrei nulla da dire se non che a me non sembra affatto che esista nessun organo tale per queste cose, come per quelle, ma mi pare che l’anima stessa di per se stessa riesca a osservare quello che è in comune a tutte le cose.

[…]

SOCRATE: E l’essere, ove lo poni, fra queste due classi? Perché questa è la cosa che, in particolar modo, fa seguito a tutte le altre.
TEETETO: Io la pongo nella classe di quelle cose verso la quali l’anima stessa aspira da sé.(62)
SOCRATE: E anche il simile e il dissimile, e ciò che è identico a sé e ciò che è altro?
TEETETO: Sì .
SOCRATE: Ebbene? E il bello e il brutto e il buono e il cattivo?
TEETETO: Anche di queste a me pare che l’anima cerchi l’essere in particolar modo nei rapporti delle une con le altre, paragonando in se stessa quel che è stato, il presente e quel che sarà.

[…]

SOCRATE: Dunque è possibile che uomini e bestie appena nati per natura provino alcune sensazioni, quante sono le impressioni che attraverso il corpo tendono fino all’anima. Ma le comparazioni intorno a esse, circa la loro essenza e la loro utilità, è cosa che avviene a stento, col tempo e attraverso molte prove e continua applicazione e accade soltanto a quelli cui accade.[…]
SOCRATE: E a quello che nome darai dunque, al vedere, all’udire, all’odorare, al provare freddo, al provare caldo?
TEETETO: Provare sensazione. E quale altro?
SOCRATE: Tutto questo, dunque, tu lo chiami sensazione.
TEETETO: Necessariamente.
SOCRATE: Dicemmo che questo è il metodo cui non spetta toccare la verità e nemmeno l’essenza.
TEETETO: No assolutamente.
SOCRATE: E neppure conoscenza.
TEETETO: No, certo.
SOCRATE: Mai dunque, Teeteto, sensazione e conoscenza potrebbero essere la stessa cosa.
TEETETO: Non pare, Socrate. E soprattutto ora è apparso assai chiaro che conoscenza è cosa ben altra rispetto a sensazione.

 

 

 


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